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massimamente importava, era di mettersi in un impresa che aveva il nobile scopo di fare un tentativo onde liberare dal giogo borbonico le patrie provincie fosse pur anco a prezzo di tutte il proprio sangue.

Noi non avremo a dire come procedesse la spedizione, e come quei valorosi, quanto improvvidi giovani, non appena toccato il suolo napoletano venissero assaliti da un numero strabocchevole di borbonici, tanto che varii di essi, tra i quali, primo l’infelice Pisacane, vennero a cadere estinti, ed altri gravemente feriti, nel cui numero appunto si trovò il Nicotera.

La sorte di questi ultimi non era in verun modo da preferirsi a quella dei primi, mentre la prospettiva del destino che loro era riservato in caso che riuscissero a sfuggire alla morte, era di questa mille volte peggiore.

Ognun sa di fatto, come gli sventurati superstiti delle catastrofe di Sarno fossero chiusi in perpetua prigione, d’onde li liberò tuttavia, quel miracolo che si accompiè per opera dell’imperatore dei Francesi e onde l’Italia ebbe a ripetere la sua risurrezione.

Il Nicotera dopo essere liberato dalla lunga prigionia sofferta, seguì le sorti del Garibaldi dal quale si ebbe grado di colonnello.

Egli voleva nel 1860 intraprendere prima nel momento opportuno una spedizione nell’Umbria penetrandovi dalla frontiera Toscana, la quale dovette essere impedita dal barone Bettino Ricasoli. Questo rifiuto dispiaque assaissimo al Nicotera, tanto chè egli, prima di disciogliere la propria colonna, si lasciò indurre in un impeto di mal’umore, a profferire delle parole che certo dovettero increscere più tardi a lui stesso, e che d’altronde egli disconfessò coll’accettare la nomina sua a deputato fatta dal coleggio elettorale di Salerno, e col prestare giuramento al Re e alla costituzione del regno.

Resta a dire qual parte il Nicotera abbia rappresentato in seno al Parlamento nazionale dal momento in cui egli vi ha seduto per la prima volta fino a quello nel quale, dopo aver dato le sue dimissioni,