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la gratitudine dell’intero paese che sà e saprà apprezzare un atto che può qualificarsi a buon dritto di disinteressamento e di devozione.
senatore.
Ognuno che abbia abitato Torino nei primi anni del secolo deve ricordare quanto distinto avvocato fosse il cavalier Vincenzo Pastore, autore di pregiate opere legali, tra cui giova ricordare i commenti al codice Albertino che soli basterebbero a dar fama di valente a chi gli ha messi alla luce.
Figlio a cotesto chiaro personaggio è il generale Pastore di cui ci conviene ora tener parola. Egli è nato in Cuneo il 3 aprile del 1800, e all’età di 15 anni si è messo nella carriera militare entrando come cadetto allievo nelle scuole di artiglieria e genio.
La sua attitudine a severi studî da esso intrapresi ed un’applicazione indefessa e poco comune in un età si giovanile lo fecero uscire di là a due anni dal liceo, col grado di luogotenente d’artiglieria.
In quei tempi, la carriera scelta dal giovane Pastore non era così brillante e spicciativa come lo è oggi; e perchè il Piemonte d’allora, malgrado che pei suoi 3 milioni di abitanti avesse un’armata assai grossa, tuttavia era lungi dal potersi paragonare al Piemonte del 1848 in poi, e molto meno al regno d’Italia in cui s’è trasfuso oggidì; e perchè dopo le grandi e lunghe guerre della repubblica francese e dell’impero, l’Europa stanca di battagliare sembrava disposta a diminuire talmente il numero delle proprie soldatesche da far supporre che appena volesse lasciare in piedi piccoli nuclei di eserciti stanziali.
Ciò non ostante il Pastore a 26 anni era capitano, a 36 maggiore; avanzamento dei più rapidi e dovuto ai meriti speciali del giovine ufficiale superiore.
Nel 1847, quando l’Italia destatasi alfine dal lungo sonno in cui era rimasta immersa accennava ad es-