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ciò gli accadde molte volte e sempre in discussioni capitalissime, si serviva di armi cortese, tanto che il grand’uomo di Stato gliene sapeva buon grado e complimentava soventi il suo avversario politico, una volta fuora dello steccato, della gentilezza tutta cavalleresca delle forme da esso adoperate.

Ma la pugna entro l’aringo parlamentare non bastava a quei robusti atleti e un altro campo chiuso essi avevano nel giornalismo.

Come lo si ricorda il conte di Cavour aveva fondato il Risorgimento e non mancava giorno ch’egli non vi appoggiasse o vi facesse appoggiare dal Farini ed altri suoi intimi amici, la nobile causa che aveva preso l’impegno di far trionfare.

La destra moderata senti, dal canto suo, il bisogno di aver un organo da opporre a quello del terribile antagonista e fondò a sua volta la Patria, della quale furono redattori i più importanti corifei di quel partito, tra i quali principalissimi il Revel e il Ghiglini stesso.

La lotta ricominciò più accanita che mai, e si può dire che ogni colpo portava e malmenava fieramente uno dei combattenti. — Finalmente il provvidenziale e definitivo trionfo dei Cavouriani, che di già nel 1854 avevano riportato una segnalata vittoria, riuscendo a determinare la spedizione di Crimea, valse a sgominare quasi affatto il partito avverso che da quel momento rinunciò ad una vana resistenza, o, per meglio dire scomparve, una volta stretta l’alleanza francese e non appena s’udì tuonare il cannone di Palestro e di Magenta.

Il Ghiglini si ritrasse in quella circostanza nella vita privata, e si rimise ai suoi studi.

Egli aveva torto. Niuno sconosceva la rettitudine delle intenzioni che aveva sempre messo nelle lotte parlamentari alle quali aveva presa principalissima parte.

Un uomo come lui, esperto ormai per lunga e fruttuosa pratica del maneggio dei pubblici affari, non doveva adirarsi o fare il broncio e tenersi in disparte perchè felicemente, per l’Italia, le sue previsioni scoraggianti, non eransi avverate, e in luogo di esse i