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Ragione questa, che parrà ovvia e quasi da non citarsi, ma che noi indichiamo appunto perchè crediamo che essa sia il principale impellente dell’azione di coloro, i quali si afferrano così ostinatamente al vecchio, e fanno non meno ostinatamente il viso del l’arme al nuovo.

Ora, il conte Gallina, da quel degno e onesto uomo ch’egli è, non solo non ebbe ritegno alcuno dal consigliare a re Carlo Alberto la concessione delle liberali franchigie, ma esternò anche al magnanimo principe, come egli fosse d’avviso, doversi quella concessione effettuare al più presto, e una volta effettuata, mantenerla a qualunque patto.

Effettuarla presto, onde sembrasse, com’era, ai popoli derivata da spontaneo movimento e non per forza di inevitabili circostanze; mantenuta con saldezza perchè, la parola regale una volta data non potrebbe in verun modo più ritirarsi, e perchè una volta tolte quelle barriere contro cui sempre urta il possente fiotto dei popoli, mal si può costringere le allargate acque a rientrare nell’angusto abbandonato alveo.

Questi consigli tanto savi quanto disinteressati del conte Gallina, consigli che secondavano mirabilmente le nobili ispirazioni del futuro martire dell’indipendenza italiana, contribuirono dunque in massimo grado a dotare il Piemonte di una delle più liberali istituzioni che esistano, e a tramandare come sacrosanta e inalterabile condizione del patto nei discendenti dell’augusta dinastia, l’osservanza fedele e perpetua di quello.

Ci sembra che il merito di questo mirabile fatto, al quale il Piemonte deve incontestabilmente la sua gloria, e l’Italia la propria resurrezione, debba quindi in notevole parte attribuirsi all’egregio uomo di Stato di cui tenghiamo discorso, e costituisca uno dei più importanti titoli suoi all’ossequio dei contemporanei, e alla riconoscenza dei posteri.