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sanno indursi a celebrare di buon animo i trionfi della patria, mentre sospettano ch’essi possano costare sconfitte e danni alla religione.

Il marchese Fabio Pallavicini si trova nel numero di quelli che non sono per isventura loro e del paese, pienamente rassicurati, quindi non recano al procedimento delle faccende nostre quel concorso attivo e convinto che sarebbe pur necessario, a spingere innanzi energicamente la grand’opera e ad affrettare il compimento dei patri destini.

Tuttavia s’egli non è tanto nostro che basti ad averlo cooperatore efficace, non è neppure tanto avverso al movimento nazionale da indursi a fare ciò che fece il troppo celebre marchese Brignole-Sale, il quale scosse sulla soglia del Palazzo Madama, le proprie calzature, onde se ne distaccasse fino al più tenue granello della polvere di quel recinto, a suo avviso, profanato per sempre; il marchese Pallavicini col rimanersi membro del Senato del regno, e coll’intervenire assai di frequente alle pubbliche sedute, e alle riunioni degli uffici di quell’illustre consesso, mostra accettare, come accetta senz’altro, quella porzione di responsabilità che pur gli spetta per rapporto alle gravissime deliberazioni di quello.

Si potrebbe desiderare di più, ma potrebbe anche temersi di peggio!



senatore.


Quello che abbiamo qui sopra detto del suo parente può in gran parte applicarsegli. V’ha tuttavia chi ritiene che il marchese Ignazio Pallavicini abbia fatto qualche passo di più verso l’accettazione del novello ordinamento d’Italia, senza rimpianti; del che non sapremmo mai, come si può ben crederlo, bastantemente felicitarlo.

Non è da trascurare di notar qui, che questo ono-