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«Conveniva pel momento finirla; verrà forse il tempo in cui la cattolicità, la Francia e l’Europa saran d’accordo con noi, ma intanto, ripeto la cosa, per ora non è cosi;, conveniva finirla, e porre un termine a questa continua lotta, ed a questo tende la Convenzione.»

Dopo aver detto che la Convenzione dà pegno di amicizia e di buona fede reciprocamente tra le parti contraenti, viene ad esaminare la garanzia del trasferimento della capitale e così si esprime:

«Ma accettiamo per un momento ciò che non potrei accettare che per mera ipotesi, supponiamo che

si volesse cotesta garanzia, ma la garanzia dello stabilire la capitale in altro sito non reca con sè la necessità di stabilirla in un determinato sito, cioè oltre all’Apennino, fuori della Valle del Pò, come osservava l’onorevole Di Revel; per dare cotesta garanzia, cotesta dimostrazione, credo poco importi, che la capitale del Regno d’Italia sia di preferenza a Firenze, che a Milano, cioè nella Valle del Po.

«Di fatti il papa, ed anche la cattolicità, mi pare debbano essere assolutamente indifferenti. Se dunque si è voluto che la capitale del regno d’Italia dovesse essere fuori della Valle del Po, non si combattono le quistioni che riflettono il poter temporale dei papi, ma si sono sempre combattute le battaglie dell’indipendenza italiana.

• Si è detto che la capitale si portava a Firenze, cioè nella penisola, per dare un corpo all’anima d’Italia; per dir vero questa frase per me ha qualche cosa dell’ascetico. Io credo che l’anima d’Italia in Piemonte ha mostrato avere un corpo, e spero che lo dimostrerà anche col tempo. Per spiegarmi, quella frase che dissi ascetica, io mi atterrò alla dottrina dei teologi. So che i teologi dicono che l’anima è imprigionata nel corpo; io non vorrei che si pensasse per avventura, trasportando la capitale a Firenze, ad imprigionarla in quella illustre città.»

Il protocollo, sostiene il barone Sappa, non può essere una garanzia della Convenzione, ma ha altro oggetto, egli si propone dimostrare qual sia tale og-