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il D’Errico spiccossi da Napoli, col pretesto di concorrere alla pacificazione tra le truppe comandate dal generale Pronio nella cittadella e gl’insorti nella città di Messina.

Re Ferdinando fingeva di accedere alle viste di una commissione di cui D’Errico faceva parte per lo scopo indicato; ma sottesso meditava la demolizione della costituzione commessa a malincuore, ed il D’Errico non si dissimulava tali pericoli, onde la sua gita a Messina fu meglio diretta ad intelligenze rivoluzionarie in Sicilia e Calabria che a persuadere il feroce Pronio di non bombardare quella città.

Quella missione difatti non riusciva a nulla, e Napoli si preparava a nuova rivolta.

I dolorosi avvenimenti del 15 maggio 1848 furono una conseguenza dell’ostinazione e della mala fede borbonica, ed il D’Errico, cui faceva compagnia Carlo De-Cesare che ora gli siede pure accanto in Parlamento, furono, dopo vana ed ostinata resistenza, costretti ad abbandonare le barricate e rifuggirsi sul vascello ammiraglio della flotta francese, comandata dall’ammiraglio Boudin.

Breve fu la sosta sui legni francesi. Il D’Errico corse nella sua Basilicata a riportarvi le notizie della catastrofe del 15 maggio. Allora suo zio Vincenzo D'Errico, uomo di grande autorità ed ingegno, raccolse intorno a sè gl’influenti e chiamò dalle altre provincie i deputati a generale dieta che con atto solenne di memorandum protestò contro le inumanità dei Borboni.

Il dado era tratto, ed il Giuseppe D’Errico corse ad arruolare molti generosi per marciare in Calabria, onde riunirsi agli altri, e poscia su Napoli.

Il Borbone dissimulò di cedere e dimenticare le offese e convocò il Parlamento, nel quale Vincenzo D’Errico fu deputato; ma Giuseppe non si arretrò mai dal sostenere che coi Borboni non bisognava transigere e finirla con una rivoluzione.

Gli fu forza pertanto di rinviare i volontari arruolati; ma ben presto il Parlamento fu sciolto, la costituzione manomessa e il partito liberale schiacciato. Vincenzo D’Errico emigrò in Francia prima, e poscia