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le prigioni di stato del castello dell’Ovo, in cui ebbe a dimorare sette mesi, prima di subire interrogatorio di sorta alcuna. Questo gli venne fatto da un giudice commissario di polizia, dal quale seppe ch’egli era accusato di tener criminose corrispondenze col fratello suo Eugenio, per opera del quale e di altri emigrati, riceveva e diffondeva proclami mazziniani, ed era così reo del delitto di tentativo diretto a cambiare la forma del governo esistente.

Dopo quell’interrogatorio, le condizioni in cui gemeva l’infelice prigioniero, si migliorarono alquanto, avvegnacchè egli fosse condotto in un carcere alquanto più sano e meno orrido, di quello in cui era stato chiuso fino a quel giorno.

Due anni in tutto durò quella abusiva e crudele carcerazione; poi, siccome non fu possibile alla polizia di rinvenire la benchè menoma prova dei delitti imputati al De Riso, essa lo lasciò partire dal castello dell’Ovo, a condizione però, che avesse subito a recarsi in Catanzaro, e vi dimorasse a domicilio coatto, sotto la più minuziosa ed insopportabile sorveglianza poliziesca.

Noi abbiamo tralasciato di narrare una circostanza la quale vale di per sè sola, a caratterizzare il governo borbonico, e a mostrare com’egli non si ritenesse dall’aver incorso ai mezzi i più infami, onde giungeva a due fini: quello di vendicarsi contro i generosi i quali osavano dirgli in faccia com’egli lo abborrissero; l’altro di corrompere viemmaggiormente gl’infelici sudditi di un sovrano senza fede.

Nei primi tempi della carcerazione del De Riso, e quando questi si trovava immerso in quello scoraggiamento che non può non assalire un uomo, il quale d’un tratto, si trova svelto dal seno della propria famiglia, dalla compagnia di amici e di parenti affettuosi, dagli agi di una vita comoda ed utile a sè come altrui, per essere gettato in un carcere malsano, orribile, in cui soffre tutte le privazioni,una persona che si fece misteriosamente incontrare all’infelice prigioniero, quasi che fosse stato causale quell’incontro, finse di interessarsi assaissimo alla triste sorte di lui,