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alle idee civili nel paese con venti altri sotto la direzione e la inspirazione di Domenico Buffa e di Terenzio Mamiani, fondando una pubblicazione quotidiana di letterato e di politico in nome di Lega italiana. Ma per quella faccenda era necessità sottrarsi dalle esigenze vessatrici di una censura paurosa e più spaurita dal romore che già spandevasi per Italia per rompere le incomportabili catene del dominio assoluto. Una eletta di persone colte adunavasi da Giorgio Doria marchese, anch’esso or senatore, e delle occorrenze trattava e de’ possibili provvedimenti si consultava. Un di fu deciso che una prima riforma si chiedesse, e quella fosse dalla revisione della stampa. Mano alla penna; chi scrive? Nicchiarono con iscuse i creduti più abili; scrisse l’Elena la dimostrazione della iniquità che gl’ingegni eletti fossero giudicati dagl’ignoranti, che gli onesti pensamenti scomunicavano come delittuosi. I congregati approvarono, fu trasmessa a Villamarina ministro per la polizia e per la guerra, e subito diffusa manoscritta a guadagnar favore dalla pubblica opinione. Questa si dichiarò apertamente, e il Villamarina che litigava con La Margnerita ministro degli esteri, la esaudì riformando ragionevolmente la censura. Biasimavano come demenza l’ardimento i nati per servire; lodarono, dopo l’effetto, il pensamento. Ma la Lega poco duro. Mamiani si ritrasse quasi subito e andò a Roma colle speranze che non gli furono vane; e come il 1848 tremò per Austria nella rivoluzione lombarda, il Buffa, senza nulla dire a nessuno, data ad altri la Direzione della Lega, andò col fucile a combattere lo straniero. Non ne potè, rottasi una gamba per via, ma la patria gli tenne grado dell’atto, pur non bene fece co’ soci, de’ quali doveva, come d’interessi comuni, aver rispetto, e nè coll’Elena il quale responsabile della gerenza poteva essere compromesso. I soci si ritrassero dal Buffa e dalla Lega, fondando il Pensiero Italiano sotto la direzione del Bettini, e l’Elena vi scrisse d’istruzione popolare più specialmente. Ricordo che anch’io vi fui onorato d’accesso. Ma la stella d’Italia era sorta in cattivo influsso, tutto rovinava, rovinò eziandio il Pen-