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Ma quando il Montanelli, sordo, non solo ai savi consigli e alle esortazioni da esso portigli, persisteva nella via adottata, via che conduceva al precipizio della Toscana e dell’Italia, credette indispensabile, a tranquillità della propria coscienza, di ripudiarlo pubblicamente per discepolo e per amico.

Per il che si sa poi quanto il Montanelli, andato in missione a Parigi, menasse rumore, e come trascorresse persino a slanciare a traverso alle Alpi, un cartello di sfida al sommo uomo che avealo guidato nel sentiero della virtù e della scienza. Il Centofanti rispose con tanta dignità a quella ridicola provocazione, che non vi fu nessun italiano, cui quella risposta sia pervenuta a cognizione che non l’abbia ammirata come la quintessenza del retto, del savio e dell’onesto.

Alla rivoluzione del 1859, il Centofanti contribuì assaissimo, dappoichè egli aveva già da lungo tempo, preparati gli animi della numerosa gioventù che più davvicino gli stava, a quel moto da cui l’Italia si riprometteva salute. Quindi è che a buon diritto, il posto del Centofanti, fu indicato da ognuno che il conobbe, ed apprezzò i segnalati servigi da esso resi alla patria, in quell’augusto consesso nel quale, ii padri di essa appunto si seggono.

La speranza che noi manifestiamo nel chiudere queste nostre parole, riguardo a tant’uomo, si è quella che egli possa uno di questi giorni, fare udire nell’aula senatoria, la nobile e possente sua voce.


deputato.


È nato in Calabria, provincia, come ognuno sa, delle più patriottiche fra le napolitane. Entrato nell’armata borbonica era di quegli uficiali, i quali si attendevano ogni di a dovere snudare la spada, non più per la difesa di un governo odioso, e di un sovrano tirannico, ma a far trionfare una volta, la gran causa d’ogni buon italiano, la causa della nazione.