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sott’occhio, avremmo assai cattivo garbo (dappoichè il chiaro autore e gli editori del medesimo ci hanno concessa facoltà d’usarne liberamente al nostro intento) se volessimo per ciò che si riferisce a quell’interessante periodo della di lui vita far altra cosa che contentarci di analizzare la semplice, spontanea e commovente di lui narrazione, citandone anche, secondo che il comporta la natura del nostro libro, alcuni brani in intiero. Pe’ nostri lettori sarà tutto guadagno!

Il conte Giovanni Arrivabene è nato in Mantova dal conte Alessandro e dalla marchesa Adelaide Malaspina di Parma, il 24 giugno del 1787.

Forniti gli studi nel liceo della città nativa ei trascorse l’adolescenza e la prima gioventù in uno stato di quasi assoluta inazione, di che egli stesso si rimprovera rigidamente nel seguente modo:

«Allorchè nel 1805 Napoleone stabilì il regno d’Italia io avea diciott’anni. Quel regno ne durò nove, ed io, fiorente di giovinezza, traversai quegli anni, sì pieni di grandi avvenimenti, nel più completo e vergognoso ozio, senza quasi punto curarmi delle pubbliche cose.»

In quanto a noi, senz’essere fatalisti, e facendo quel caso che merita della facoltà del libero arbitrio di cui non impugniamo certo che l’uomo sia possessore, ci permetteremo di fare osservare l’andamento e lo sviluppo della vita di questo dipendere troppo spesso da circostanze esterne ed estranee, l’impulso delle quali sembra sia necessario a modificare il carattere umano, o a determinarne la pratica manifestazione, per attentarci a consentire nel biasimo gettato sovra i suoi anni giovanili dal chiaro autore.

Vediamo tuttavia come accadde che da quell’ozio, per dir così, preparativo, ei passasse all’azione:

«Non fu che dopo la caduta del regno d’Italia — prosegue l’Arrivabene — ch’io incominciai a prenderle a cuore (le pubbliche cose).

«Io vedea, per dir così, divelta una pianta, la quale, invigorita dagli anni, favorita dalle circostanze, avrebbe potuto crescere in modo da coprire di sua grande ombra tutta quanta l’Italia; ed io ne sentiva vivo dolore.

«Le leggi, l’esercito, la moneta, le persone, le cose,