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e rivolgendo a lui la parola, gli espose la domanda fatta dalla deputazione, impossibile ad esaudirsi dal consiglio di governo e da lui; per lo che esso conte Palffy rimetteva anche il suo ufficio nelle mani di lui sig. tenente maresciallo comandante della città e fortezza, e cessava sin d’allora di essere governatore; ma nel medesimo tempo gli raccomandava che, nell’esercizio de’ suoi rigorosi doveri, esso sig. tenente maresciallo volesse risparmiare il più possibile questa bella e monumentale città, alla quale egli protestava la più viva affezione.

«S. E. il sig. tenente maresciallo conte Zichy fece le meraviglie della domanda annunziatagli, e la disse impossibile ad esaudirsi anche da lui; soggiungendo ch’egli pure amava la città di Venezia, nella quale soggiornava da molti anni; ma che il suo dovere andava al di sopra delle sue affezioni, e ch’egli avrebbe fatto rigorosamente il dover suo.

«L’oratore della deputazione, avvocato Avesani, rispose ch’egli teneva tal dichiarazione per un rifiuto; ch’egli andava tosto a riferirlo al popolo; e che il sig. tenente-maresciallo sarebbe responsabile della strage imminente.

«Il sig. conte Zichy lo trattenne e lo eccitò a moderarsi; ma l’avvocato Avesani esclamò che la moderazione era impossibile, ed articolando le domande, chiese:

«1.° Le truppe tedesche, o comunque non italiane, partano: le italiane restino.

«— Impossibile! esclamò il sig. tenente-maresciallo; ci batteremo.

«— Ebbene, ci batteremo! rispose l’Avesani in atto di partire.

«Trattenuto di nuovo ed esortato dal tenente-maresciallo a penetrarsi della sua posizione, poichè ci andrebbe della sua testa, se accordasse una tale domanda; l’Avesani soggiunse che in simili frangenti ci va della testa di tutti; che non si potevano aspettare ordini da Vienna, o da altro luogo, che si era ormai perduto troppo tempo; che ogni ora, ogni minuto poteva esser decisivo e portar la strage; che la formula