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nista nella biografia di quel valoroso uffiziale — gravemente compromesso, pensò ridursi a Genova in compagnia di tre uffiziali del presidio di Torino, credendo trovarvi ricovero. Ma giunto a San Pier d’Arena seppe, con quale smarrimento il lasciamo pensare al lettore, che le porte della capitale della Liguria gli erano chiuse, avvegnachè quel governatore Desgeneys vi avesse restaurato l’assoluto governo in nome di Carlo Felice.

«Il sole era vicino al tramonto — dice il nostro Beolchi nelle sue memorie — lo sguardo discorreva involontario a vagheggiare la marina lucida e piana come specchio, quando mi vennero vedute le navi che i Genovesi avean fatto allestire per tradurci in Ispagna. A questa vista rabbrividii. Fin qui una speranza ci avea guidati di città in città, la speranza di trovare un punto, ove fare ultima ostinata resistenza. Ora anche questa speranza era svanita, e più non restava che l’esilio. Esilio! Era la prima volta che l’ingrata idea mi si affacciava alla mente. Dal profondo del cuore sospirai e dissi: tutto è perduto!»

Un genovese, d’animo generoso e patriottico, s’imbatte nel futuro proscritto e commosso nel vederlo sì giovine e sì ambasciato, il prende sotto il braccio, il fa penetrare seco nella città a suo gran rischio, l’ospita in sua casa e il colma d’attenzioni, egli e la di lui gentile consorte, e il confortano entrambi con ogni maniera d’esortazione e di consigli.

Nella mattina del secondo giorno, Andrea Copello — così si nominava il pietoso genovese — accompagnò il Beolchi sino alla nave che dovea tradurlo in Ispagna e s’accommiatò da lui dopo averlo caldamente raccomandato al capitano di quella.

Molti erano gli esuli sul bastimento, e allorchè il nostro avvocato ebbevi appena posto piede, fu accerchiato da molti che si rallegravano di vederlo giunto in salvo e di averlo a compagno.

Il tragitto da Genova a Barcellona fu agitatissimo, perchè sempre tempestoso il mare, ma non appena il settimo dì del viaggio, apparve agli esuli da lunge il lido di Catalogna, essi lo salutarono con estrema allegrezza, e quasi vedesser le sponde d’una seconda patria.