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L’accoglimento che si ebbero a Barcellona corrispose pienamente difatto alle loro speranze. Ospitati nelle case dei cittadini, che se li strappavano in certa qual guisa di mano, soccorsi efficacemente mediante una produttiva sottoscrizione, che tornò, come dice il chiaro autore, a molti di grande ajuto, festeggiati dalle donne, ch’ei ci dipinge coi colori i più seducenti, la loro stanza nella capitale della Catalogna era riposata e felice.

«Cielo sereno e bellissimo, aria pura, dintorni vaghi e ridenti, sincero affetto degli ospiti, protezione delle leggi, soccorso nobilmente dato, le nostre opinioni trionfanti, un merito il nostro esilio, fondate speranze sull’avvenire, che più potevamo desiderare?»

Ma ohimè! chè il Beolchi è costretto di far succedere a questo periodo il seguente:

«Fallaci beni della vita, perchè così rapidi fuggite?

«Già l’orizzonte cominciava ad oscurarsi, e la passeggera calma che ci fu dato gustare, non fu se non per farci sentire più fiera la tempesta che ci era preparata.» Prima di proseguire la rapida analisi di sì interessanti memorie, noi impegniamo il lettore a non trascurare di prender conoscenza in esse dall’attraente e maestrevole pittura che il Beolchi ne dà dei costumi della Catalogna e dei particolari della vita colà vissuta dai refugiati italiani.

La febbre gialla dapprima, che empiè di spavento e di lutto tutta la Catalogna e mietè non poche vittime anche tra i compagni del nostro avvocato, la guerra dipoi, la civile, la più terribile tra tutte, e quella contro le truppe Francesi che, guidate dal duca d’Angoulème accorrevano a distruggere l’edificio della costituzione spagnuola, furono i due flagelli che percossero ospiti ed ospitati, e questi alla fine (i sopravvissuti), s’intende ricacciarono in nuovo e più terribile esilio.

Il Beolchi, rimasto immune dalla peste, prese parte attiva alla guerra, come ve la presero tutti i suoi compagni d’infortunio, e tutti si comportarono da quei valorosi che erano, e in quella terra lontana resero chiaro e glorioso il nome italiano.