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Come tutti gl’Italiani, ebbe egli pure vena poetica e scrisse dei versi. La sua tragedia Velinda, notevole per nazionali sensi e nobiltà di forma, gli valse gl’incoraggiamenli del Niccolini e del Pellico.

«Sorto il quarantotto — così si esprime sul di lui conto l’amico nostro avvocato Franceschi in un cenno biografico ch’ei dettò del Carutti — diede addio alla letteratura propriamente detta, e si mise a tutt’uomo agli studî politici e storici, non venendo però mai meno nel suo animo il culto professato alle muse.

«Ed eccolo dai sogni dorati della fantasia scendere nella palestra dei giornalisti e porsi tra i collaboratori della Concordia, giornale in quel tempo molto diffuso e segnalato per ardenza d’opinioni, ma che sempre divoto si conservò alla monarchia costituzionale.

«Sul finire del quarantotto il Gioberti lo nominò applicato al ministero degli esteri, e come gli studî politici e l’ufficio di giornalista avevano staccato il Carutti dalle lettere, il novello incarico troncò la sua breve carriera giornalistica.

«Egli seppe però anche nell’aura dei ministeri, non sempre propizia alla meditazione e alla calma, trovar ritagli di tempo per dettare alcuni articoli, che leggonsi nella rassegna mensuale della Rivista Italiana del 1849 e 50, nei quali con altezza di vedute trattò le politiche e le sociali dottrine.

«Nè solo agli obblighi del suo ufficio e ad articoli per Riviste attendeva in quegli anni il Carutti, ma ardiva un libro che col titolo: Dei principi del Governo libero, vedeva poi la luce nel 1852.

«Intorno a questo libro — checchè possano averne detto alcuni sempre più pronti a criticare che a fare — se si considerano la finezza dei pensieri, l’acutezza delle investigazioni e le pagine svolte per comporlo, non si può a meno di darne lode al Carutti, che in freschissima età sobbarcavasi a un lavoro di tanta lena. E così la pensarono i dotti, che a voce e in iscritto gli furono larghi d’encomio.»

A questo lavoro tengono dietro due altri, assai più importanti: la istoria, cioè, del regno di Vittorio Amedeo II, e quella del regno di Carlo Emmanuele III.