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Molti funesti accidenti ed alcune imprudenze fecero sì che la polizia austriaca venisse in sospetto di qualche trama, e infine avesse una noia dei più compromessi.

Accadevano giornalmente casi di arresto; gli amici di Cavalletto lo scongiuravano ad andarsene; ma egli rispondeva che il fuggire gli repugnava come cosa bassa, e che alla fin fine il suo arresto non poteva recar danno che a lui senza compromettere nessun altro.

In una sera del luglio 1852 (poche ore dopo essere stato chiamato dall’autorità delegatizia a ricevere ringraziamento per la sua coraggiosa ed intelligente direzione, spontaneamente assunta ed usata, ad estinzione d’un vasto incendio) alcuni poliziotti, venuti da Venezia espressamente, invasero la casa del nostro protagonista, e dopo minuziosa perquisizione, il tradussero in carcere. Da Padova a Venezia, da questa fu quindi trasferito in Mantova.

Sono abbastanza noti i processi atroci ed illegali che s’istruivano e si perpetravano sotto orribili forme in quella troppo tristemente celebre fortezza, non che le inique sentenze onde quasi sempre venivano coronati quelli infami giudizî, che di giudizio non aveano che il nome, mentre barbare vendette avrebber piuttosto da appellarsi. Il Cavalletto, dopo essersi veduto tolto da fianco l’amico e compagno di prigionia Speri, che fu condotto al patibolo, fu esso pure condannato a morte; ma tale condanna venne quindi mutata in quella di sedici anni di carcere in fortezza, con ferri.

La sentenza dichiarava — falsità ben nota a chi la emetteva — ch’egli era convinto e confesso d’aver accettato l’incarico di formare in Padova un comitato rivoluzionario.

Trasferito a Josephstadt in Boemia, ad ucciderlo, più che le catene e la dura prigionia, sarebbe bastata la lontananza dalla terra natale, dai parenti, dagli amici, se non l’avesse sostenuto la fede nel migliore avvenire d’Italia, di cui il Piemonte si mostrava zelante ed attivo propugnatore.

Colla parziale amnistia del 1856, concessa a cagion