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della nascita di prole imperiale, la condanna del Cavalletto venne diminuita di sei anni. L’amnistia generale del 2 dicembre del medesimo anno schiuse le porte della fortezza ai prigionieri politici, e il Cavalletto rientrò in Padova, ove gli amici suoi dovettero interporsi per impedire una popolare ovazione al di lui arrivo — fatto che, non potendo certo aumentare la pubblica stima a suo riguardo, avrebbe avute tristi conseguenze per molti.

Nel gennajo del 1859, essendo ricominciati per parte della polizia austriaca gli arbitrarî arresti politici e figurando tra gli arrestati persone amiche da lungo tempo col Cavalletto, riuscirono questa volta gli a lui devoti a persuaderlo di sottrarsi a nuova prigionia col riparare in Piemonte.

Non tardò molto a scoppiare la guerra di redenzione. I Veneti accorrevano, come ognun sa, numerosi ad arruolarsi sotto la bandiera nazionale, e molti fra essi s’indirizzavano al Cavalletto per consiglio e direzione. Ma fu dopo la pace di Villafranca che la di lui azione assunse una vera importanza.

La popolarità che godeva tra i volontari veneti fu da lui impiegata ad impedire che molti accettassero il congedo, in mal punto offerto dal ministro Lamarmora. I più capaci ed istrutti esortava ad iscriversi nei corsi suppletorî che si aprivano pel completamento dei quadri dell’esercito; a tutti era largo di consigli e di esortazioni, rialzandone gli animi sfiduciati dall’esito incompleto della guerra, e mantenendo viva la fede nell’avvenire della patria.

Prese poi parte principalissima nell’azione politica dell’emigrazione e nella presentazione di varî indirizzi dei Veneti ai membri della diplomazia residenti in Torino.

Convocati quindi gli emigrati per la nomina di un comitato di cinque membri che avesse a rappresentarli e difendere l’interessi della Venezia, il suo nome apparve in tutte le schede. Questo Comitato, composto del commendatore Tecchio, che ne fu nominato presidente, del conte d’Onigo, del deputato Bonollo, dell’avvocato Meneghini e del nostro protagonista, all’a-