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esserselo tenuto lungamente stretto sul seno, rivolse ad Anita le seguenti parole: «Io ho pugnato a lungo, o signora, contro vostro marito, senza mai poterne trionfare; faceva quanto poteva per vincerlo onde condurlo meco prigione; ma egli mi resistè sempre e sempre mi fuggì; se avessi avuta la fortuna d’impadronirmene, si sarebbe accorto, dal modo con cui l’avrei trattato, della grande stima che io aveva concepita per lui.»

Oribe, il famigerato generalissimo di Rosas, vincitore ad Arroyo-Grande, si pose in marcia alla volta di Montevideo, dichiarando altamente che ove fosse riuscito a penetrarvi avrebbe fatto man bassa su tutti, non risparmiando neppure i forestieri. Allora questi sel tennero per detto, e non volendo cadere almeno senza combattere si organizzarono secondo le diverse nazionalità in legioni, formandosene una italiana, una francese ed una spaguuola.

La legione italiana non aveva paga; le venivano date soltanto razioni di pane, vino, sale, olio ecc., ed era stipulato che finita la guerra, i sopravvissuti, le vedove e gli orfani ricevessero doni di terre e bestiami.

Composta di circa ottocento uomini, la legione fu divisa in tre battaglioni, e il supremo comando ne fu affidato a Garibaldi.

Oribe, avanzatosi sino alle porte di Montevideo, non si azzardò ad entrarvi e dette tempo agli abitanti della città di rafforzarsi; il generalissimo di Rosas mise campo al Cerrito e le scaramuccie e i combattimenti d’avamposti ebber principio.

Se non che, avendo i Montevideini potuto riuscire ad organizzare una piccola flottiglia, il nostro protagonista tornò a farsi ammiraglio per guidarla, e desiderando che la legione italiana avesse una pronta occasione di segnalarsi, l’imbarcò tutta sovra una porzione della sua squadra per attaccare alla sua testa le truppe di Oribe assedianti il Cerro.

L’inimico, assalito alle due pomeridiane, alle cinque era disfatto: la legione, forte in quella fazione di soli quattrocento uomini, si scagliò alla bajonetta sovra un battaglione d’oltre seicento, dei quali più di cento