Pagina:Calani - Il Parlamento del Regno d'Italia.pdf/339

Da Wikisource.

— 225 —

spero che non lasceremo un sol ferito sul campo di battaglia.

«— No, no! gridarono tutte le voci; del resto feriti là eravamo quasi che tutti. Quando adunque vidi che ognuno era calmo e rassicurato, detti tranquillamente l’ordine d’indietreggiar combattendo. Per fortuna io non aveva neppure una graffiatura, il che mi permetteva di trovarmi per tutto, e quando un nemico troppo temerariamente si appressava, lo faceva pentire della sua temerità. I pochi intatti che tra noi si trovavano, cantavano inni patriotici, cui i feriti replicavano in coro; il nemico ne stupiva.

«Il mancar d’acqua ci faceva soffrire più d’ogni altra cosa: alcuni strappavan radiche dal suolo e le masticavano, altri succhiavan palle di piombo, taluni bevvero la propria orina. Finalmente giunse la notte e un po’ di fresco con essa. Chiusi i miei uomini in colonna e posi in mezzo i feriti; due soltanto, ch’era impossibile trasportare, furon lasciati sul campo di battaglia.»

L’indomani il nostro protagonista scriveva la seguente lettera alla commissione della Legione italiana residente in Montevideo:

«Fratelli,

«Ier l’altro abbiamo sostenuto nei campi di Sant’Antonio, ad una lega e mezzo di distanza dalla città, il più terribile e il più glorioso dei nostri combattimenti. Le quattro compagnie della nostra legione e una ventina d’uomini di cavalleria, refugiati sotto la nostra proiezione, non solamente si sono difesi contro mille e duecento uomini di Servando Gomez, ma hanno interamente distrutta l’infanteria nemica, che li aveva assaliti in numero di trecento bajonette. Il fuoco, cominciato a mezzogiorno, è finito a mezzanotte. Nè la quantità dei nemici, nè le cariche sue ripetute, nè la sua massa di cavalieri, nè li attacchi de’ suoi fucilieri a piedi hanno potuto sopra di noi; sebbene non avessimo altro riparo che un baraccone ruinato sostenuto da quattro pali, i legionari hanno costantemente respinti gli assalti dell’accanito avversario. Tutti gli uffi-