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Pagina:Calani - Il Parlamento del Regno d'Italia.pdf/348

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sendo troppo inferiori in numero alle napoletane per poter mai conseguire un tal resultato. — Difatti Garibaldi offriva di recarsi alla testa de’ suoi sotto Cisterna, la notte istessa, onde precludere la via all’esercito del re Ferdinando, prevedendo che questi avrebbe pensato a battere in ritirata, e in precipitosa ritirata, una volta che si fosse veduto assalire con energia dalle forze repubblicane. Il Roselli, che non conosceva bene il valore delle schiere garibaldine, e sopratutto l’indomabile ardimento che poteva ispirare in esse il loro capo, si oppose assolutamente a tal mossa.

Intanto, siccome si temeva a Roma l’appressarsi degli Austriaci dalla parte d’Ancona, si richiamava in tutta fretta Garibaldi nelle mura della città eterna, onde inviarlo a quella volta, per opporsi ai progressi degli eterni nemici d’Italia.

Ma appena rientrato in Roma, l’eroe di Montevideo non potè più pensare ad uscirne, mentre egli dovette resistere agli assalti impetuosi e improvvisi ai quali si spinsero il 2 giugno i Francesi, che, dopo un’accanitissima lotta, nella quale il nostro protagonista si coprì di gloria, riuscirono ad impadronirsi delle Ville Pamfily e Valentini, e di Monte Mario; Garibaldi potè appena, spargendo il più generoso sangue de’ suoi, restar padrone del Vascello.

Sappiamo come progredissero rapidamente e inesorabilmente i lavori d’assedio dei Francesi intorno a Roma, lavori che ogni giorno facevano perdere un terreno prezioso e uomini anco più preziosi alla città assediata, per istringerla di più in più entro una micidiale cerchia di ferro e di fuoco.

Il futuro vincitore di Calalafìmi, che non aveva requie, nè dì, nè notte, ch’era sempre presente là ove più sovrastava il pericolo, o ferveva la pugna, che continuava a tenere il suo quartiere generale entro la villa Spada, sebbene ogni giorno il casino da lui abitato venisse crivellato da ogni sorta di projettile nemico, si decideva a fare la resistenza la più disperata, e a tale oggetto proponeva al Triumvirato nientemeno che l’abbandono della parte trasteverina della città, la distruzione di tutti i ponti che questa con quella met-