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tono in comunicazione, il barricamento di tutte le vie, ecc. ecc.

Questo progetto di disperata difesa non venne però accolto dai governanti di Roma; quindi, dopo un ultimo fatto d’arme a villa Spada, in cui il nostro eroe pagò ancora della propria persona in modo da veder cadere a sè d’intorno buon numero de’ suoi più fedeli, al momento stesso in cui le truppe di Francia penetravano nella città eterna, egli col cuore profondamente turbato, se ne allontanava alla testa d’una porzione degli armati che gli obbedivano.

Era suo disegno da prima di recarsi negli Abbruzzi, onde sollevare quelle popolazioni, e tentare digià allora di cacciare i Borboni dal trono di Napoli; ma più maturo consiglio lo indusse a dirigersi verso la Toscana, ove sperava potersi mantenere durante un certo tempo, appoggiandosi sui molti che osteggiavano il governo granducale. Senonchè, appena fornite poche tappe, la sua colonna si assottigliò in maniera, per le frequenti diserzioni, che appena componevasi ancora di 3000 uomini. — Ciò nulla ostante egli proseguì il sno cammino e penetrò in Toscana; ma recatosi sotto le mura d’Arezzo si vide chiudere in faccia le porte di quella città, e non avendo mezzi sufficienti per impadronirsene, dovette ritrarsene, e gettarsi coi pochi legionarî che gli rimanevano sugli Apennini, onde trovar modo di sfuggire di mano alle colonne austriache, che d’ogni banda correvano ad attorniarlo.

Allora incominciò per parte dei Garibaldini una serie d’operazioni altrettanto difficili per essi ad eseguirsi, quanto sarebbe malagevole per noi il descriverle.

Senza mezzi di trasporto, senza viveri, senza denaro, quella colonna dei difensori di Roma, assottigliala in modo, che appena più contava un migliajo di combattenti, si diede a fornir marcie e contromarcie su per sentieri dirupati, attraverso gole di montagne inaccessibili, sostentandosi non sappiam come, e sfuggendo per vero prodigio ai Tedeschi, che li stringevano da ogni lato, e anelavano d’impadronirsi di quel Garibaldi, che tanto li aveva già fatti sudare e correre invano per l’erte della Valtellina.