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città, non passò la sua prima giovinezza negli agi del proprio palazzo, ma visse in privata condizione e frequentò l’accademia di belle arti di S. Luca, ove meritò i primi premi, e divenne sopratutto valente nel dipingere in miniatura.

Rivendicato il suo stato principesco, contestatogli a mezzo d’un processo abbastanza noto, e divenuto capo della sua famiglia, si distinse fra i suoi pari per affabilità e gentilezza di modi, essendochè il tempo da lui trascorso in istretto contatto colle classi della media società gli avessero giovato ad affiatarsi con essa, ed apprendervi per tempo nella vita esser d’uopo che il grande ed il popolano s’amino e si sostengano vicendevolmente.

Promotore di opere di beneficenza e di civiltà, sì nella capitale, come nel luogo dell’estiva villeggiatura, istituì quivi a sue spese un asilo d’infanzia, il primo nello Stato romano, ove una tale istituzione era dal governo clericale avversata. Non mancò poi di professare sempre un particolare amore per quelle arti belle da lui stesso coltivale, e ne protesse e ne favorì l’incremento non meno che si prestò con tutti i mezzi de’ quali poteva disporre a vantaggio di ammegliamenti agricoli.

Quello poi che sopratutto valse a distinguere fra i membri dell’aristocrazia romana il duca Sforza-Cesarini, si fu l’aperto suo professare principi sinceramente liberali, senza curarsi, così facendo, di incorrere nella disapprovazione dei governanti, cui osava a tutt’ora dire le più giuste e perciò le più spiacevoli verità, come incombe ad ogni uomo veramente indipendente e che pur sia animato da leali sentimenti verso il proprio governo.

Nel 1849 i suoi concittadini, da tenente colonnello della guardia nazionale ch’egli era stato eletto, lo nominarono coll’universale suffragio a generale, pei 14 battaglioni di quella milizia cittadina; onore, cui credè dover rinunciare, quando si avvide esser per prevalere una politica diversa da quella ch’egli professava. Ben presto il duca Sforza s’accorse, al pari di tutti gli italiani ben pensanti, che il Piemonte era il faro verso il quale facea d’uopo volgere gli occhi desiosi dell’indipendenza