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gnere capo in Ravenna, fu promosso con simile grado a Bologna, d’onde la nativa Osimo il richiamò per inviarlo a rappresentarla in seno a questo Parlamento italiano.





Ecco ancora un antico campione dell’indipendenza nazionale, ecco una delle numerose vittime della tirannide borbonica.

Nato in Arpaise, comune del mandamento d’Altavilla, nella provincia di Principato Ultra, nel luglio del 1794, studiò filosofia e legge in Napoli, e tornò nel 1818 in Altavilla, ad esercitar l’impiego di percettore delle contribuzioni dirette di quel circondario.

Scoppiala appena la rivoluzione del 1820, il Capone fu destinato dal colonnello De-Conciliis, che in esso riponeva molla fiducia, a portarsi con una mano d’armati a difendere il passo delle forche caudine in Arpaja. Eletto in seguito capitano dei legionari del circondario di Altavilla, nel marzo 1821, egli marciò alla testa della sua compagnia negli Abruzzi, fintantochè entrati gli Austriaci in Napoli e ristaurato il governo assoluto, il Capone dovette andar profugo e ramingo per molto tempo. Arrestato nel 1827, patì lunga prigionia, quindi venne relegato nell’isola di Lipari per solo arbitrario ordine di polizia, senza che gli si fosse fatto processo, o che avesse subìta condanna giudiziaria di sorta.

Dietro l’amnistia emanata da Francesco I, nel 1830, il nostro protagonista potè rientrare nella terra nativa, sebbene non potesse vivervi vita tranquilla, come quegli ch’era sempre rigorosamente sorvegliato e spesso molestato dalla polizia dei Borboni. Arrestato di nuovo nel 1837, insieme al barone Poerio ed a molti altri, fu sottomesso a giudizio del tribunale della suprema giunta di Stato, ch’ebbe ad ordinare il rilasciamento dei prigionieri per mancanza di prove.