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pevoli fossero arrestati e puniti sotto tutt’altro titolo che di cospiratori.

Di là a qualche tempo difatti accadde che nelle vie di Napoli venisse appiccato il fuoco agli abiti di varie donne, anche di civil condizione, in modo strano e misterioso, attalchè talune non poterono venir salvate, e perirono miseramente. Ora, il governo accagionò di tali atrocità gli studenti e i liberali; fece spargere voce ch’essi fossero gl’incendiatori, e di tal guisa ottenne di eccitare contro di loro il furore della plebe. Allora, sotto pretesto di far atto che venisse a calmare l’irritazione di questa, e nel tempo istesso preservasse i minacciati dall’eccidio, procedette all’arresto di un gran numero di studenti e liberali, che tenne chiusi in carcere parecchi mesi, senza degnarsi d’assoggettarli nè ad interrogatori nè a giudizi di sorta alcuna.

Nella rivolta del 1847 Stefano Romeo venne ferito pel primo. Il governo lo mise al bando con 1000 ducati di taglia. Giudicato da un consiglio di guerra estemporaneo, venne condannato a morte, condanna che fu poscia mutata in quella del carcere a vita. Eccettuato, con altri dodici, dall’amnistia generale accordata nel gennajo 1848, uscì libero per la concessione dello Statuto, avvenuta nel febbrajo consecutivo.

Eletto deputato, si trovava presente alla memoranda seduta del 14 e 15 maggio. Dopo l’uscita degli Svizzeri dal loro quartiere, dopo le barricate, il Romeo riteneva che il paese potesse solo esser salvo mediante un grande atto di energia rivoluzionaria, che la Camera doveva opporre ad una controrivoluzione da lungo tempo apparecchiata. Propose quindi, ch’essa, dichiarandosi Assemblea costituente, sospendesse tutti i poteri dello Stato, e ritiratasi in una delle provincie chiamasse il popolo all’insurrezione.

In quest’energica proposta, combattuta nell’Assemblea in nome della legalità, tornò il giorno di poi ad insistere, e temendo che alcuni dei deputati si sentissero paralizzati dall’amore alla dinastia, invitò la Camera a dichiarare decaduto Ferdinando dal trono, a nominare una reggenza, e a combattere il padre in nome del figlio.