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protagonista e il di lui fratello si mostravano animati, li resero invisi al governo borbonico, che costrinse quest’ultimo ad esulare in Piemonte — morì a Genova nel 1852 pianto da tutta l’emigrazione ed assistito fino all’estremo istante dal prode generale Cosenz — ed il primo angustiava colle solite persecuzioni.

Il Cardente, nel 1860, fu nella sua provincia uno dei più caldi propugnatori dell’unificazione italiana, tanto che fu chiuso insieme al superstite fratello Cesare nel duro carcere di Gaeta, d’onde il 26 ottobre del medesimo anno venne estratto per essere colle catene ai polsi ed ai piedi cacciato nelle prigioni di Teano, ond’esser consegnato al noto generale Sergardi.

L’arrivo in quella città delle vittoriose schiere di Garibaldi, quasi provvidenzialmente liberò i due fratelli.

Felice Cardente fu inviato deputato al Parlamento del regno dai collegi elettorali di Teano, Roccamonfina, Pietramellara e Mignano.





Nei grandi movimenti nazionali, gli uomini dotati di un’attività febbrile come quella della quale è posseduto il Ricciardi, quando sono animati da buone intenzioni, e che al pari di lui hanno lealtà di sentimenti e acutezza di spirito, possono tornare di una vera utilità, quantunque talora e a taluni sembrino esser d’impaccio.

Il Ricciardi è nato in Napoli dal conte Francesco di Camaldoli e da Luisa Granito dei marchesi di Castellabate.

L’infanzia del nostro protagonista fu tormentata fisicamente e moralmente. I pedagoghi l’importunavano, ed egli non voleva saperne di studiare sotto la lor direzione; per giunta soffrì per ben cinque anni di dolorosissima malattia, detta cosalgia (lussazione del femore che finì col renderlo zoppo per tutta la sua vita).