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Appartenente ad antica e nobilissima famiglia di Milano, nato da un padre di sentimenti italianissimi, il conte Francesco, giovinetto ancora, si sentì preso d’ardente desio di battere la carriera dell’armi, e giacchè in que’ tempi si rendeva piuttosto impossibile che difficile il seguire altrimenti una tal vocazione, egli entrò col grado di sottotenente nel reggimento usseri, Re di Sardegna.

Avanzato di grado in grado fino a quello di tenente-colonnello, nel 1847 ei si trovava in viaggio sulle pittoresche rive del Reno, quando alcuni numeri d’un giornale di Firenze, l’Alba, cadutigli a caso tra le mani, gli annunziarono lo svegliarsi dello spirito nazionale in Italia.

Prevedendo che tra breve quel sordo fermento e quel primo agitarsi delle patrie città doveva per avventura tradursi in energica azione, egli corse tosto a raggiungere il proprio corpo, e confidandosi col colonnello del suo reggimento — il quale non era altri che quel generoso magiaro Meszárós, che doveva più tardi prendere una parte sì attiva e cospicua alla sollevazione ungherese e venir condannato a morte dall’Austria — egli espose come fosse suo intendimento di porgere sull’istante le proprie dimissioni.

Lo sconsigliò il Meszárós dal tentare un passo sì ardito e decisivo in quel punto, e fu d’avviso che l’Annoni chiedesse piuttosto, adducendo motivi di salute, un congedo d’un anno per viaggiare in Grecia ed in Turchia.

Ottenuto di fatto un tal congedo, il conte Francesco erasi già posto in via, quando nella generosa Milano scoppiò quell’inudita rivoluzione che doveva eccitare lo stupore e l’ammirazione di tutta quanta l’Europa.

Retrocedendo immediatamente, fu di ritorno nella città nativa, ove saputasi appena la sua presenza, egli venne tosto chiamato presso quel governo provvisorio