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Si fu in quel torno, cioè dal 1845 al 1848, ch’ei pubblicò una traduzione di Demostene, accompagnandola con erudita prefazione, ond’ei s’ebbe il plauso di tutti i dotti che ammirarono in quella la retta e profonda interpretazione del testo, non che la dignità dello stile e la purezza della lingua in che è voltato, corrispondente in tutto alla magniloquenza del diserto oratore d’Atene.

Scoppiata a Milano la rivoluzione del 1848, vi troviamo con sorpresa l’Anelli qual membro del Governo provvisorio; e diciam con sorpresa, giacchè dobbiam confessare che non sappiamo comprendere come mai si pensasse a divellere dalle studiose sue veglie notturne e dalla sua cattedra l’onorando professore per convertirlo in reggitore di popoli, e ciò in momenti tanto difficili qual si erano quelli.

Noi ci dichiariamo alieni dall’approvare la condotta politica serbata dal sacerdote Anelli in seno al Governo provvisorio, ma siamo molto inchinevoli a scusarla. Egli non era un uomo dei dì nostri, ma un prisco ateniese, un romano dell’antica repubblica; pensava, parlava ed agiva a quel modo, e ognun sa se quel modo, al giorno d’oggi, sia il migliore per riuscire a bene; quindi accadde che non riuscisse ad altro, in tal funesta occasione, che ad affrettare la ricaduta delle sorti italiane.

Consentaneo, del resto, a sè medesimo e alla parte di tribuno della plebe ch’egli avea preso a rappresentare, l’Anelli rimase fermo al suo posto, quando già tutti i suoi colleghi, ad eccezione del Litta, se ne erano allontanati, e che l’oste nemica irrompeva nella desolata metropoli lombarda.

Sfuggito agli Austriaci — che del resto non aborrivano troppo gli uomini della tempra dell’Anelli — e refugiatosi a Nizza, rivisse in quella dolce città vita studiosa e tranquilla, tornando di tal guisa, per così dire, nell’elemento suo proprio.

Colà, nel 1850, e sotto il velo dell’anonimo pubblicò una sua storia d’Italia, che si parte dal 1814 e viene fino al decennio penultimo.

La forma di tal libro, scritto un po’ sulle orme del