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sbaglio! aggiungerebbe un politico — di rimandare l’una e l’altra volta il nobile supplicante inesaudito.

Da quel momento tutto fu detto! Il conte Arese fece un giuramento, che ha sempre osservato dipoi: ei giurò di non aver più verun contatto con Casa d’Austria e co’ suoi devoti, all’infuora di quello che può per avventura esistere tra due nemici irreconciliabili che s’incontrino sul campo di battaglia colle armi alla mano.

Di là a non molto, infatti, ei cominciava le ostilità col prender parte ai moti del 1831, e quelli riusciti a male, doveva andar esule e rimaner lungi dalla cara patria per ben otto anni.

La brevità che ci è imposta dalla natura del nostro lavoro c’impedisce di seguir passo a passo, come il vorremmo, nelle sue ardile intraprese e ne’ suoi lunghi ed istruttivi viaggi il nostro protagonista; dovremo tenerci paghi d’indicare le prime e i secondi quasi sommariamente.

Desideroso d’apprendere a nobile e pratica scuola le rudi discipline della vita militare, come quegli che prevedea non lontano il giorno nel quale i figli d’Italia avrebber fatto appello alle armi onde trarsi di collo il giogo dell’oppressore austriaco, recossi a passar due anni in Algeria, vivajo di quelle eroiche ed agguerrite schiere di Francia, che fecero in questi ultimi tempi maravigliare l’Europa, non tanto pell’irresistibile slancio del loro valore, quanto per la costanza e la fermezza a tutta prova di che dettero saggio nel sopportare e sfidare privazioni e disagi, morbi e fatiche.

Colà ei s’ebbe accoglimento cordiale, e potè seguire le due campagne di Mascara e di Tlemcen, in qualità d’ufficiale d’ordinanza del maresciallo Clausel.

Rientrato in capo a due anni in Europa, si portò in Isvizzera, ove fu ospitato nel castello d’Arenemberg da quella regina Ortensia, che non avea certo d’uopo d’esser regina per ispirare la più entusiastica ammirazione, la devozione la più inalterabile in tutti coloro che avevano la buona sorte d’avvicinarla.

In quel luogo e sotto gli occhi della figlia di Giu-