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Caterina Bon-Brenzoni. 165


Dello scrivere e del verseggiare, nota il Messedaglia, mai in sua vita conobbe ella altrimenti le regole che per averle sentite e indovinate nei classici; nè mai seppe che fossero arte poetica e prosodia.

Nel 1841 pubblicò il suo primo saggio, l’Armonia a Giorgio Ronconi, e l’altro canto nelle nozze di un’amica, Maria Teresa dei conti Serego-Allighieri con Giovanni Gozzadini, patrizio bolognese.

Un fiero malore, una metrite acutissima, prenunziata da un grave mal d’occhi, troncò i suoi studi l’anno seguente. Corse pericolo della vita. Riebbesi, ma per più mesi non potè muovere il passo, e il florido serto della salute che le splendeva un dì sulle chiome, ahi! fu sfrondato per sempre! — Questa frase poetica del Messedaglia pare che accenni alla perdita dei capelli, vera corona della bellezza; e quel medico che fece tagliare alla Benucci la sua chioma d’oro fu ben maledetto dall’Ariosto.

Scrisse però, prima che la metrite la abbattesse, dei versi al biografo d’Ippolito Pindemonte, conte Bennassù-Montanari in Roma, l’Addio della sposa per altra amica, e un inno Alla Preghiera. Negli anni 1843 e 1844 di nuovo si riebbe e dettò un’ode, La fonte agghiacciata, un carme Ad Elena Bulat, dalmata, madre di un fanciullo sordomuto ch’era in educazione in Verona, ed un’Epistola al consigliere Gaetano Pinali, ad intercedere e accompagnare il dono alla città di una statua di antico scalpello. Ma non continueremo il catalogo delle sue poesie minori.

Nel 1846 di nuovo ammalò fieramente di morbillo; risanò, ma ne ritenne una ricorrente neuralgia alla faccia; e poco