Pagina:Capuana - Giacinta.djvu/148

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Vi ringrazio, vi sono gratissima; una così affettuosa premura di amiche mi resterà eternamente scolpita nel cuore... Ma che volete che faccia? Non si tappa la bocca ai maldicenti.

— Capisco — diceva la Maiocchi. — Però scusa, la contessa...

— No, il seccatore è lui — la interruppe la signora Villa. — Le sta sempre tra’ piedi! Vuoi che lo mandi via? Siamo giuste!

— Capisco — riprese la Maiocchi. — Però la reputazione d’una signora non va sacrificata a uno sciocco... Non si parla d’altro, ti ripeto!

La signora Marulli si mordeva le labbra. Tanta carità nel prossimo la indispettiva. Quel titolo di contessa, sbattutole in viso così affettatamente, era, si capiva, una vendetta di pettegole...

— Proprio? Non si parla d’altro? Ma come impedirlo? Suggeritemi. Secondo me, bisogna lasciar gracchiare chi vuole. È il mio sistema, e me ne sono trovata sempre bene. Col prendersela, che s’ottiene? I calunniatori rincarano la dose, per fare più effetto... Un bel risultato! Obbligatissima!... Non voglio scomodarmi.

— Forse hai ragione! — disse la signora Villa, piccata.

— Da’ retta a un’amica — soggiunse la Maiocchi. — Bada un po’ a quel pulcinella!

— Sai che mi stupisce? Io credevo invece che volessi fartene un genero.

— Di quello lì? Oh! Piuttosto lascierei intisichire mia figlia.

Le due amiche uscirono di casa Marulli mogie mogie, invelenite.

— Stupide! — conchiuse la signora Villa. — Do-