Pagina:Capuana - Giacinta.djvu/15

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che io avevo voluto speculare sul sudiciume, lusingando quanto di più basso e di più sconcio ha l'umana natura. Pochi mi tennero conto delle buone intenzioni, e di quante ero riuscito a metterne in atto in quel primo saggio di romanzo contemporaneo italiano, dove si tentava l’analisi d’un carattere, lo studio d’una passione vera, benchè strana, anzi patologica, Io non mi preoccupavo per nulla del giudizio morale: me l’aspettavo. Sapevo anticipatamente che forza m’era di passare per lì, come molti altri prima di me; e intanto che critici e pubblico discutevano, m’occupavo seriamente delle modificazioni e delle correzioni. Sia po’ lo scandalo suscitato dai partigiani della scuola che mette la morale come scopo primo dell’arte, sia un po’ la novità del mio tentativo, e l’alito caldo di passione sinceramente umana che scorreva nelle pagine di quel libro e faceva perdonarne i difetti, la prima edizione era già esaurita in men di sei mesi. Per mia buona ventura, una sequela di infortuni commerciali della libreria a cui avevo concesso il diritto di ristampa, impedirono che la seconda edizione si facesse immediatamente; ragioni d’altra natura non m’avevano permesso di provarmi in nuovo lavoro; e così accadde che la revisione della ristampa mi trovò, dopo parecchi anni, naturalmente più maturo e talmente distaccato dall’opera mia, da poter con molta libertà mettervi le mani, per renderla in qualche modo quale avrei voluto farla di primo acchito.

Se vi dirò, gentile Amica, che il rimaneggiamento del mio romanzo procurommi un piacere artistico superiore a quello della primitiva composizione voi mi crederete facilmente.

Rileggendolo, non più da autore ma da critico, una cosa mi fece piacere sopratutto: lo scorgervi una certa solidità nell’ossatura e nella disposizione delle parti. Se non che bisognava cancellare qualunque segno, qualunque ombra con cui la personalità dell’autore faceva qua e là capolino, e mutare per ciò in diversi punti la narrazione in azione, e avere la mano spietatamente chirurgica su la lingua e lo stile. Ah, la lingua, cara Amica! Il nostro grandissimo scoglio. Chi sapeva insegnarcela allora, specialmente laggiù? Chi poteva mantenersi intatto dal-