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Il palazzo Sturini, da un lato, con le cariatidi del portone, coi mostri che si contorcevano nelle mensole dei terrazzini, e la palazzina fresca e svelta della contessa Grippa, dall’altro, avevano l’aria, diceva l’ingegner Villa, di guardarsi in cagnesco con le finestre illuminate.

Andrea si sentiva come in casa propria, aggirandosi a testa alta fra tutta quella gente, che ora salutava e gli stringeva la mano, per non romperla con la padrona di casa e con la signora Marulli diventata una vera potenza.

— Infine — avevano riflettuto — a loro che gliene importava? Doveva badarci quell’imbecille di marito, che andava attorno per le stanze come una mosca senza capo. La contessa era una donnina gentile, buona, allegra. Faceva tanto piacere il ritrovarsi radunati insieme in casa di lei!

Le signore trovavansi di accordo nel chiudere gli occhi. E se, per caso, quella cattiva lingua del Ratti veniva a metter fuori in mezzo a loro certe allusioni troppo aperte, prendevano l’aria di non capire. La Maiocchi, anzi, protestava indignata, con la Pagani e con la Clerici. E la signora Clerici non protestava meno energicamente, quantunque osservasse, in confidenza con la Maiocchi, che la Pagani aveva dei grossi peccati da farsi perdonare per proprio conto; per questo andava ora spacciando la storiella, messa in giro dalla Teresa, di non so che lascito piovuto a Gerace da un parente lontano, che gli permetteva di vivere del suo e di fare il signore. La Pagani non ne credeva, senza dubbio, neppure una sillaba, ma l’andava ripetendo insistentemente, come se ci avesse creduto, per debito di consorteria femminile!

Sul tardi, Giacinta si era accostata ad Andrea, porgendogli una tazza di caffè nel vano della fine-