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Nuvole aperte, nuvole chiuse
e nuvole nere
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non ha né il codice oggetto, né il codice sorgente; non può infine distribuire copie modificate, perché non le può modificare.

Con una disponibilità di banda sempre più elevata a costi sempre più bassi, lo spostamento di un sempre maggior numero di servizi dal software gestito in locale a software gestito in remoto via Internet, dunque “nella nuvola”, diventa un paradigma con il quale fare i conti costantemente, ma verso il quale gli strumenti ormai consolidati e che abbiamo analizzato in precedenza hanno poco impatto.

È dunque tutto perduto, tutto inutile? Non dobbiamo usare il cloud o rassegnarci a un mondo non libero? Andiamoci piano.

Se nel cloud dunque non possiamo utilizzare le categorie logiche e giuridiche del software “distribuito”, abbiamo tuttavia alcune caratteristiche che ci consentono di discriminare un “buon” cloud da uno non molto buono. Vi sono una serie di “libertà” che dobbiamo tenere presente per valutare se, giuridicamente e tecnicamente, si possa ottenere una situazione simile a quella che avremmo in una situazione di software libero.

Migrazione: anche una questione di costi

Una cosa è certa: non staremo per sempre con lo stesso fornitore di servizi. Dunque i costi di migrazione sono “sunk cost”. Significa che si tratta di costi inevitabili, in quanto non dipendono da una decisione futura, ma dipendono da una decisione passata e non più modificabile. Ad esempio, i costi di migrazione devono essere valutati sin dal giorno in cui concludo un contratto con il nuovo fornitore. “Addebitare” i co-