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154 Open source, software libero e altre libertà

si sarebbero davvero esauriti. E infatti eccoci qui, con il libro fatto, finito e distribuito. A consolarmi c’è la presenza al suo interno di vari riferimenti a miei libri e articoli.

Ora però la smetto di fare il minchione (nb: citazione verghiana) e vi dico davvero che cosa penso del libro e dell’autore.

Il libro è... beh, il libro è fichissimo. Punto. Non ci sono molti altri aggettivi. Parla di un tema a me molto caro, su cui io stesso ho scritto molto: cioè la deriva ipertrofica (e per lo più contraria all’innovazione) della cosiddetta proprietà intellettuale. Ne parla aggiungendo quell’approccio di analisi economica del diritto per me ancora abbastanza difficile da padroneggiare; e soprattutto lo fa con il punto di vista di chi ha dieci anni di esperienza professionale più di me, raccontando casi di studio gustosissimi seguiti in prima persona.

Alcune delle storie narrate e portate come esempio da Carlo ho avuto modo di seguirle proprio collaborando con lui. Conoscerlo è stata una vera svolta per la mia carriera professionale; e non tanto per i lavori seguiti insieme, quanto perché lui mi ha mostrato che si poteva fare... Si poteva fare una cosa che fino a quel momento credevo fosse utopia. Infatti fino a quando non ho incrociato il suo cammino, ero martellato dalle prediche di professori e avvocati più anziani di me che mi ripetevano che da un approccio “open” alla proprietà intellettuale non avrei ricavato molto a livello lavorativo; che quelle erano cose belle e interessanti da imparare, ma che il lavoro vero sarebbe arrivato da altro (un po’ come il classico “impara l’arte e mettila da parte” che più volte mi ero sentito dire nella mia vecchia vita di musicista e creativo).