Pagina:Caro, Annibale – Opere italiane, Vol. I, 1912 – BEIC 1781382.djvu/102

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quali navi, considerate che poteva far la luce, non vi essendo altro che ammazzamenti e cotali oppressioni di guerra. Se si stésse sempre in sul significato propio, come direbbe Vergilio:

. . . Pernix Saturnus ?...

Come direbbe il medesimo:

Proiice tela marni sanguis meus?...

Come direbbe Orazio:

Tum praenestinus salso multumque fluenti

expressa arbusto regerit convicia?...

Chi vide mai, secondo l’arguta vostra interrogazione, che gli arbusti fossero salsi o correnti, a guisa di fiume? e che ’l sangue avesse Tarmi in mano e le gittasse via? Chi mai senti che Saturno fosse altramente che tardissimo? Non vedete che Vergilio in un loco lascia il primo significato di Saturno, dio o stella, e piglia quello del cavallo nel quale si trasformò? e nell’altro lascia quello del sangue, e piglia quel di nipote o discendente? E cosi, che Orazio, lasciando quello dell’arbusto, ha rispetto alla dicacitá del vendemiatore, che v’è su? Pindaro non dice d’«aver nella sua faretra molte saette che parlano ai dotti, e appresso al volgo hanno bisogno d’interpretazione»? O chi vide mai che le saette parlassero o s’interpretassero? Non v’accorgete che lascia la significazion di «saette» e piglia quella de’ «concetti della mente»? Non dice il medesimo che «la sua lingua avea medesimamente molte frecce premeditate a dire»? Chi vide mai che la lingua avesse frecce? E come le frecce si possono premeditare, se non si considerano in altro significato che propio? Ed in un altro loco, dicendo che «tratta una mitra lidia risonantemente variata», in che modo si può dire che una mitra risuoni, se non si lascia la sua prima significazione, e si piglia quella di un «inno alla lidiana», per lo quale è posta? Dice Eschilo, di Partenopeo, figliuolo d’Atalanta, che egli «era un ramo di bella prora», volendo dire un figliuolo di bella faccia.