Pagina:Caro, Annibale – Opere italiane, Vol. I, 1912 – BEIC 1781382.djvu/103

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Vedete come passa, senza alcun mezzo, da pianta a nave e da ramo a prora; e che abbiano da fare la prora col ramo, o la nave con la pianta, e tutte queste cose insieme con questo figliuolo, secondo voi. Non vedete che qui bisogna necessariamente, per intenderlo, che si lasci il significato suo propio, non solamente d’un traslato, ma d’ambedue; e che per «ramo» s’intenda «figliuolo» e che per «prora» s’intenda «faccia? Il qual passaggio è molto piú stravagante che da «foco» a «desiderio», e da «desiderio» a «volo e canto». Ma che mi giova d’avervi allegati questi tanti autori, e cosi autorevoli, parlando secondo la» vostra esquisitudine? — Io non credo se non al Petrarca — direte voi. A questo, con una fischiata che vi si facesse, sarebbe risposto abbastanza: ma io mi voglio pigliar piacere di farvela fare al Petrarca medesimo, per merito di quel vituperoso onore, che gli fate, di non voler credere ad altri che a lui, e massimamente a tali, che da lui stesso sono ammirati e imitati ancora in quello che non credete voi. Or veggiamo se egli usa quel che dite che «non userebbe» nelle sue metafore. E quanto alla prima delle spezie divisate di sopra, non è, questo, suo verso:

L’alma mia fiamma oltre le belle bella? e quest’altro:

Quando il soave mio fido conforto?

O leggete nell’una e nell’altra di queste metafore tutto quel che segue, e sappiatemi dire se voi vedeste mai che la fiamma avesse la vista, il consiglio, il viso, gli sdegni e ’l ciglio, che il Petrarca gli attribuisce: sappiatemi dire ancora quando fu mai che ’l conforto sedesse, ragionasse, si traesse di seno, si rasciugasse gli occhi; cose che gli son fatte fare dal Petrarca. Quanto all’altre spezie poi, questo non è anco suo verso:

Che i bei vostr’occhi, donna, mi legáro?

E questo non è suo:

E vidi lagrimar quei due bei lumi?