Pagina:Caro, Annibale – Opere italiane, Vol. I, 1912 – BEIC 1781382.djvu/117

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che non avete detto di belle cose fino a ora; per le quali si vede quanto questa vostra presunzione sia ben fondata. Ma s’intende che ne direte dell’altre piú belle: e mi si fa l’un’ora mill’anni, di vedere in su la cannuccia quella vostra opera, nella quale voi stesso dite, in una vostra lettera, che «vi pare d’aver trovate molte cose, che non sono state vedute, non solamente dagli altri, ma ancora da Aristotile medesimo». E se a questa vi rimettete di dar maggior conto di voi, non ci tenete piú a disagio: fate che venga fuori, perché il teatro è pieno. Quando vedremo questi miracoli, saremo d’accordo, perché allora vi si crederá col pegno in mano. Ma se le parti hanno qualche proporzion col tutto, quelle poche regole, che ne vanno a torno e quei giudizi, che vi si sentono fare sopra le cose degli altri, ce n’hanno dato tal saggio, che giá le si prepara il plauso: resta ora che si lasci vedere. Intanto mettianci un poco a torno a quello che se n’è veduto, e per ora pigliamo la vostra medesima censura. Io la buratterò cosi grossamente; e se non se ne faranno vermicelli, mi contenterò che siano gnocchi. Non è questo un parto della grammatica, della poetica e di tutte le scienze vostre? Non esce da quel purgato giudizio, da quella severa sferza e da quella finissima lima vostra? Non vien da voi, che siete il bottegaio dell’eloquenza, l’arcifanfano delle lingue, e, come dice quel galantuomo,

il camerlingo dell’ortografia?

Non vien da voi, cimento, paragone e stadera del toscanesimo spezialmente? Or venite qua (se Dio vi guarisca di questo umore): in questa medesima cartuccia, in si poche righe, non fate voi come il pecorin da Dicomano? Non mostrate chiaramente, volendo corregger altri in questa lingua, quel che ne sapete voi e come ben l’usate? Oh! contate gli errori che ci sono. Mi vergogno a parlare di queste sciempitá: ma pensate che non lo fo per mostrar di saper piú di voi, né manco per ammendarvi, ché questo non è possibile e di quello non mi vien lode alcuna; ma lo fo solamente per istomaco della puzza, che menate di questa vostra fecciosa grammatica, e per lo tanto fastidio