Pagina:Caro, Annibale – Opere italiane, Vol. I, 1912 – BEIC 1781382.djvu/147

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10 me n’era afflitto, essa se ne rise, e ridendo guardava me: ed io guardava or lei, or me, ora il castello, per accorgermi di quello che ciò fosse, con nuovo piacer d’ognuno che mi rimirava, palpandomi da me stesso il naso e ’l volto tutto, con tutta la persona. E trovando pure d’essere il medesimo di prima, e ch’ella e gli altri, che vi si viddero poi, avevano le loro proporzioni e quivi sproporzionati e stravolti parevano, e che tutti nondimeno se ne ridevano, mi diedi ancor io a ridere delle lor risa. Assicuratomi poi di parlare or con questo, or con quello, e meglio considerando, tosto mi chiarii del fatto come stava; percioché dalla trasparenza del vetro, dal suo smalto, che di dentro gli mancava, dalla tortezza delle sue linee e dai risalti di certi suoi angoli sbiechi, che di lor natura dissipavano, riflettevano, crescevano e diminuivano le vere spezie delle cose, ritrassi che l’apparenze di questo castello erano lustre, gherminelle e traveggole tutte. Ma per dirvi quel che n’avenne, mentre che di ciò ridendo si stava, eccoti venire, come dal drappello mandato, un di quei due paggi che si son detti, che seguivano il giovine; e questo fu quel dell’arco. Giunto ch’egli fu, accennò che tutti s’appartassero, e dicendo: — Questo inganno, per ridicolo che sia, è giudicato dal sacrosanto collegio che risulti in diminuzione della maestá sua, e in disturbo dei sudditi di questo loco, — in un medesimo tempo cacciò mano all’arco, e a colpi non di saette, ma di certi bolzoni che dalla faretra si trasse, percosse il castello per modo come se fulminato l’avesse, o come se una boccia d’alchimia stato fosse, che per troppo foco scoppiasse; percioché il cadere in sul prato e l’andarsene in fumo, in suono ed in pezzi, tutto fu in uno istante. Era

11 fumo nero e denso come di pece, laonde per lungo spaziosi mantenne; ma secondo che piú raro si veniva facendo, cosi nell’aria come nella terra si scoprivano di strane e di fastidiose maniere d’animali. Si vide in alto un nugolo grandissimo di moscherini, di zanzare, di tafani, di vespe, di scardafoni e di simili, che tutti poi in picciol tempo si dileguarono; videsi uscir delle sue buche un gran numero d’uccellacci, i quali, volgendosi alla fine verso il colle, secondo che piú vi s’appressavano.