Pagina:Caro, Annibale – Opere italiane, Vol. I, 1912 – BEIC 1781382.djvu/152

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Pasquino

Avete veduto quanto ser Fedocco vi dice: v’avertisco, che è persona molto autentica e che gli si credono fino ai sogni: ché non pensaste, per aver cosi nome da musorno e da pastricciano, che per tale fosse per aventura reputato da quelli che lo conoscono. Ma che cosa è questa, che ognuno mi porta questa sera qualche opera contra voi? Sará forse, perché sanno che si spaccia per Vinezia? Io voglio serrare il piego con queste tre solamente: l’altre s’invieranno un’altra volta, perché le voglio leggere ancor io prima che le mandi. Ma ve ne manderò parecchie, state sicuro, perché fin delle favole v’hanno composte contra. Io n’ho giá tre nelle mani, che tutte fanno a vostro proposito. Una d’un certo somiero, che andò con quella pelle di lione indosso, facendo del marzocco; che, scoperto poi dal ragghiare, oltre alla pelle, che s’avea usurpata, gli fu levata la sua. L’altra d’una zucca, che, gonfiata dalle bietole, dandosi a credere di poter facilmente superar la palma, le si rampicò subitamente adosso, e, crescendo in pochi giorni quanto quella non avea fatto appena in cento anni, le si pose sopra al capo, rimproverandole d’esser cosi prestamente divenuta maggior di lei. La palma guatandola sogghignò, dicendole solamente: — All’agosto ti voglio. — L’agosto venne; ella, in men che non era cresciuta, si seccò; le bietole ne rimasero sciocche, e l’altre erbe se ne risero. La terza d’un giuoco di bagattelle; dove mi si dice che voi, fattovi in Padova venire un Calepino innanzi, in quella parola «Cassis», con un solo accento, per parte di mastro Muccio, d’una celata ch’ella era, la faceste diventare una galea. Oltre di questo, io so che per altra via ve ne son mandate due altre: una di messer Alberico Longo, e l’altra di messer Pietro Marzo, le quali non vi doveranno parer sogni né favole, perché questi sono riputati ambedue gran campioni delle buone lettere e della veritá. Intendo che se ne