Pagina:Caro, Annibale – Opere italiane, Vol. I, 1912 – BEIC 1781382.djvu/173

Da Wikisource.

AI LETTORI

Le lettere che seguono, si mettono solamente per notizia del fatto, poiché, per iscusa del Castelvetro, lo vanno calunniosamente alterando.

A Messer BENEDETTO VARCHI Il commendator Caro

Ho visto quel che V. S. mi scrive, oltre al capitolo del Zoppio, mandatomi da monsignor di Fermo. E quanto al Castelvetro, io lascio che ognuno creda di lui quel che gli pare; ma io, per me, non lo posso avere se non per uomo scortese e di mala natura; poiché, per isperienza propria e per riscontri di piú persone, ed anco per iscritture di sua mano, truovo che veramente è tale. E per dirvi il particolare affronto che gli è piaciuto di far a me, udite. Io feci quella canzone de’ Gigli d’oro , ad instanza del mio cardinale. Poco di poi che usci fuori, comparse qui una censura di quest’uomo, che non solamente la strapazzava, ma l’annullava del tutto, parlando con quelle ironie e con quel dispregio d’essa e di me, che vedrete. Da che spirito fosse mosso a farla, io non lo so. Io non ebbi a far mai con esso lui, e non lo vidi pur mai. Questa censura mi fu portata a vedere; ma, non sapendo prima di chi si fosse, me ne risi e non la stimai, parendomi cosa sofistica e leggiera. Quelli che l’ebbero qua, non solamente la mostrarono, ma ne fecero circoli in Banchi, la sparsero studiosamente per Roma, e ne mandarono per tutta Italia (come s’è visto poi) molte copie: ed a me ne furon rimandate infin da Vinegia, da Bologna e da Lucca. Oltre a questo, vi furon certi suoi che, con ischerni e con risa, cominciarono a pigliarsene spasso con alcuni amici miei, provocandoli a far che gli si rispondesse, con mostrare che quelle opposizioni non avevano risposta, e che la gente sarebbe chiara del sapere e dell’esser mio. Io, per l’ordinario, non me ne dava molto affanno, come quelli che mi conosco e non