Pagina:Caro, Annibale – Opere italiane, Vol. I, 1912 – BEIC 1781382.djvu/182

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che io non gli rispondessi? Dirá che non è stato di suo consentimento, come intendo che dice. Oh! non ho io signori e gentiluomini onoratissimi e degni di fede, che sono stati ricerchi da sua parte che mi essortino a pigliarla seco? Non gli era assai d’avermi fatta ingiuria e ch’io la tollerassi, come tollerai tanti mesi, senza che egli ne volesse anco trionfare? E poiché alla fine, per tanta sua importunitá, gli aveano gli amici miei data risposta, a che fare mi provocava che si publicasse? Perché s’offeriva di far fede che l’arebbe caro, e di pagarne anco la stampa? Queste cose son pur vere, e si pruovano tutte. Come può dunque affermare che non siano fatte per offender me? Come può anco imputarmi che io abbia prima offeso lui con quelle parole, che avanti agli suoi scritti si mandano cosi calunniosamente a torno, potendosi facilmente riscontrare che non solamente io non le dissi mai, ma che non sono anco uomo da dirle? Ho voluto stendermi in questi particolari, a ciò V. S. conosca che egli non si può scusare né del mal animo, né delle male opere sue verso di me. Ora, avendomi egli dall’un canto fatti tanti carichi e non potendo non gli aver fatti; e dall’altro non si potendo rimediare che gli miei difensori non si siano ragionevolmente risentiti, ed essendosi questi risentimenti publicati quali in tutto e quali in parte, io non so che questa differenza si possa altramente acconciare che facendosi a chi s’ha, s’abbia. Perché, quanto a dire Ch’Ella potrebbe sperare d’indur lui a salvar le mie ragioni e me a fare il medesimo delle sue; io le rispondo di me che non potrei mai dire che le sue fossero altramente che false. Perché in vero non sono di quelle che si possono disputare e tenere dall’una parte e dall’altra, con laude di ciascuna; ma sono delle piú deboli, delle piú frivole e delle piú sofistiche che si possano trovare. Ed a lui non accade di pigliar questa fatica di salvar le mie, per satisfare a me; perché non mi darebbe niente del suo, essendo, mal suo grado, tutte vere. E non tanto che egli possa esser lodato d’ingegno a salvarle, merita anco grandissima riprensione d’averle oppugnate. E non si può salvar esso, se non dice d’aver falsamente e leggiermente opposte le sue. Il che non so come possa uscir di bocca a uno che fa profession d’esser solo a dire ed intendere ogni cosa bene, e di far credere al mondo che non s’intenda e non si sappia da altri che da lui. E, se non confessa questa partita, non so che in altro mi possa satisfare. Ma, quanto a me, io non desidero che mi dia satisfazione alcuna, e non mi