Pagina:Caro, Annibale – Opere italiane, Vol. I, 1912 – BEIC 1781382.djvu/183

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curo né dell’amicizia né della nimicizia sua. E se egli non procede piú oltre che tanto, io mi contenterò d’esser proceduto ancor io fin qui, bastandomi solamente che insieme con Poffese sue siano vedute le mie difese. E questo è necessario, non solo per riscuotermi dall’opinione dell’ignoranza, in che mi ha voluto mettere appresso a quelli che gli credono; ma per liberarmi ancora dall’imputazioni che m’ha date e mi dá tuttavia nei costumi. Percioché non gli basta di mostrare ch’io non sappia (il che forse arei lasciato passare), ma non cessa di fare ogni officio con ognuno, per far credere che mi porti cosi insolentemente con lui, come egli ha fatto con me. Di che mi sono avisto ultimamente in Milano: dove ho trovato che l’illustrissimo Cardinal di Trento era stato da lui molto male edificato di me e della natura mia. E se quel da ben principe non m’avesse conosciuto adesso, e non l’avessi chiarito del caso come è passato, mi sarei stato per sempre nella mala impressione che teneva di me: cosa che non si può soffrire, che egli voglia ingiuriar gli altri e poi rovesciar la colpa sopra gli ingiuriati. E però non si può far di meno che le predette mie difese non si divolghino, quando non fosse mai per altro, per la notizia del fatto. E questo è quanto alle cose passate, le quali sono irrevocabili per le ragioni sopradette. Quanto all’avenire, perché certi ardiscono fino a farmi intendere che questa contesa potrebbe andare innanzi con altro che con lo scrivere, io dirò solo che l’animo mio è di non volerla piú seco in nessun modo, se egli non mi stuzzica di nuovo. Quanto a proceder per altra via, credo che non fará poco d’andare impunito d’esser cosi proceduto con altri; se pure è vera l’imputazione, che gli sento dare universalmente, della morte di quello sfortunato di Messer Alberico. E poiché le ho detto quel che m’occorre in questa materia, torno a replicarle che io non veggo altro accommodamento di questo. Né però diffido dell’ingegno né dell’autoritá di V. S. E so (come Ella dice) che le donne hanno composte di gran controversie: ed ho lei per tale, da poter compor delle maggiori. Quanto a me, per la riverenza ch’io le porto e per l’obligo che le tengo, non potendo far altro di quel che l’ho detto, mi contenterò di far quello che io posso. E le do pieno arbitrio, dal canto mio, di far sopra ciò tutti quelli offici che le parranno opportuni, per finirla: se pur le pare che ci bisogna altra fine di quella che di sopra s’è detta; con questo però: che, dovendoci esser la satisfazion d’ambe le parti, come Ella promette, ci debba esser anco la mia,