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IL CARO

ALLA SIGNORA LUCIA BERTANA

Per questo io scrissi a V. S. che la differenza tra ’l Castelvetro e me non si poteva cornpor altramente che facendo a chi s’ha s’abbia, perché giudico impossibile che ’1 fatto non sia fatto, e diffícilissimo che gli scritti, che si sono giá divolgati, si possano rivocare, cosi dalla parte sua, come dalla mia. Io, per me, gli ho mandati a molti, e da quelli possono essere andati nelle mani di molti altri. E, a dire il vero, io non posso consentire in modo alcuno, che non si veggano, poiché non si può fare che non si siano veduti i suoi. I quali suoi non solamente io non mi curo che vadano a torno, ma io non vorrei, per ben assai, che non si vedessero; perché io mi tengo piú difeso e piú vendicato che si legga quel che egli ha scritto contra di me, che se io scrivessi ciò che potessi mai contra di lui; di tal bontá e di tal dottrina spero che egli sará tenuto da quelli che leggeranno le cose sue. E non vorrei che uno ingegno pellegrino come quello di V. S. si lasciasse persuadere che gli uomini lo tengano per quel che si tiene da se medesimo, e che si curino di quel che egli si dica o si senta delle cose loro. Però desidero eh’Ella si contenti che io l’abbia dato, in questo caso, quell’arbitrio che le posso dar io, e che non abbia per male di non potere quello che né anco la natura può fare: che sarebbe di proibire le cose passate. V. S. le lasci pur correre, poiché egli ha voluto cosi, e poiché nessun di noi non può piú ritirarle indietro. E, quanto all’avenire, sebbene io ci ho sempre veduto poco buon taglio, dicendomi V. S. che confidava di trovarvelo, a lei me ne rimessi ; e cosi fo di nuovo. E non le bastando, e tornandole anco bene, di non entrare altramente in questo maneggio, a lei me ne rapporto medesimamente. Perché, quanto a me, io sento mal volentieri parlar de’ casi suoi. E mi son contentato Ch’Ella vi si metta di mezzo a sua richiesta, per desiderio ch’io tengo di servire a lei, e perché il mondo non mi abbia per uomo di pochi pensieri.