Pagina:Caro, Annibale – Opere italiane, Vol. I, 1912 – BEIC 1781382.djvu/216

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perché, dispregiata da voi, si getterá da qualcun altro. E delle sue simili (secondo che intendo) non arete a vostra posta.

Barbagrigia. Si, che si trovano forse ad ogni uscio delle sue pari?

Gisippo. Per rifiutar le sue nozze, io non dispregio lei, ma piú tosto manco a me stesso. Quanto ai bisogni della vita, io vi ricordo che non hanno forza di mover quelli che desiderano di morire; del tempo, so eh’è medicina di molte passioni, ma non può esser del mio dolore.

Dexmetrio. Perché?

Gisippo. Perché è infinito.

Demetrio. Questo è impossibile, perché séte finito voi.

Gisippo. Basta che non sia per finir avanti la fin mia.

Demetrio. Né questo può esser, perché non nasce mai sole, che non ci rechi qualche mutazione cosi dell’animo come del corpo.

Barbagrigia. Voi parlate in filosofia, ed io vi voglio parlar in medicina. Il dolor mi penso io che sia nell’animo, come una ventositá nel corpo. Una pittima solamente, che vi facciate al core di quel masson d’argento della mia Cornarozza, séte guarito. È possibile che voi non aggiate considerata la bellezza e la grazia di quella vedovetta? quel viso dolce, quegli occhi ladri, quella persona di man della natura? E come potrete voi stare addolorato a vederla solamente innanzi?

Gisippo. Oimè, che la rammemorazione di queste bellezze mi porta amaritudine!

Barbagrigia. O perché? Non è bella?

Gisippo. È bellissima e direi senza comparazione, se gli occhi miei non avessero veduta Giuletta.

Barbagrigia. Eccoci pur a Giuletta; quando vi comincerá a piacere costei, vi parrá piú bella della Giuletta.

Demetrio. Dice il vero, perché la prattica fa l’amore, e l’amor genera il piacere, e ’l chiodo si caccia col chiodo.

Gisippo. Il mio è fitto e ribattuto di sorte che, se l’asse non si rompe, non uscirá mai.

Barbagrigia. Voi séte giovine, figliuolo mio. Oh! guardate a questa mia barba bianca, e credete quel ch’io vi dico cosi alla