Pagina:Caro, Annibale – Opere italiane, Vol. I, 1912 – BEIC 1781382.djvu/222

Da Wikisource.

Marabeo. Nozze, ah, Pilucca?

Pilucca. Banchetta, ch’importa. Piccioni, pavoni, suso a spendere.

Marabeo. Pilucca, quest’altra ruina non aspettava io che ci venisse addosso di queste nozze.

Pilucca. Guata ruina da riempir la borsa e ’1 corpo per parecchi di !

Marabeo. Mal prò ci fará, ti so dire.

Pilucca. Perché?

Marabeo. Perché per noi si fa che la padrona sia innamorata e non maritata. Ora che stará col capo a bottega, come potremo noi piú ruspare? E se ’1 marito ha stocco, dove ci troviamo noi del ruspato?

Pilucca. Non pensiamo al male prima che venga. Godiamoci queste nozze; di poi qualche cosa sará.

Marabeo. Innanzi che venga, bisogna pensarci. Questo vivere alla carlona fa per quelli che vanno per la via dritta; perché a uomo da bene avanza della metá del suo cervello, ma a un tristo non basta anco tutto. Oimè, mi pareva d’aver serrati tutti i passi a costei, che non si rimaritasse. Quanti partiti le son venuti innanzi, tutti l’ho guasti. Solo dell’amor di costui la teneva accesa, perché sapevo ch’egli n’era alienissimo. Ora questa súbita mutazione non so donde si proceda.

Pilucca. Tant’è, la cosa è fatta.

Marabeo. Fatta? Alla fé! non sará.

Pilucca. Come non sará, che s’è data la fede? Il marito l’ha mandata a presentare, e io vengo per te che prepari la cena e Paltre cose, ché voglion far nozze questa sera medesima.

Marabeo. Questa sera? Ben, ben; la mina è condotta al fuoco; alla contramina, Pilucca.

Pilucca. Non c’è tempo.

Marabeo. Bisogna supplir con l’ingegno. Attraversiamoci in qualche modo; commettiamo del male, diciamone: al marito della moglie, alla moglie del marito. Fingiamo qualche innamoramento, qualche adulterio d’uno di loro, qualche mal francese