Pagina:Caro, Annibale – Opere italiane, Vol. I, 1912 – BEIC 1781382.djvu/233

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Gisippo. Oimè!

Demetrio. Udite. Leviamoci un poco di strada.

Battista. Che? Volete appiattarvi?

Giovanni. Dov’è Giuletta?

Gisippo. O Giuletta!

Battista. È morta forse?

Gisippo. Oimè! oimè!

Giovanni. È morta mia figliuola. O traditore, assassino! Non t’è bastato averla rubbata, che l’hai fatta morire per pigliare un’altra moglie. Violenza, adulterio, assassinio. Troverò io giustizia, giustizia.

Demetrio. Non gridate, messer Giovanni, che messer Tindaro non ha peccato in altro che in troppo amore verso vostra figliuola.

Giovanni. E però non ha potuto ripigliare un’altra moglie!

Battista. Non istiamo qui a far una uccellaia in su la strada. Andiamo al governatore.

Gisippo. Oh, dove sono io condotto!

Demetrio. Messer Gisippo, Dio ci aiuterá. Di grazia, andatevene a casa, ch’io voglio aspettar qui Satiro.

SCENA IV

Demetrio, Barbagrigia, Pilucca.

Demetrio. Oh che confusione! oh che disperazione! oh che ruina è questa! Quella moglie, ch’egli voleva, è morta: quella, che vuole ora lui, è pregna. Di quella, se noi ce n’andiamo, si terrá per certo che l’abbiamo fatta mal capitare; se stiamo, n’avemo a render conto con altro che con parole: di questa è necessario o che ’l parentato vadia innanzi, o che siamo amazzati da’ suoi. Dall’un canto infamia e prigionia, dall’altro inimicizia e corna. Se io dico a Gisippo della pregnezza, lo metto in fuga e lo ruino; se non lo dico, lo tradisco e lo vitupero. Che partito ho da pigliare? Ecco qui Barbagrigia: e che si che la vedova non ci vorrá manco dar tempo da pensarvi.