Pagina:Caro, Annibale – Opere italiane, Vol. I, 1912 – BEIC 1781382.djvu/243

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Giordano. Che di’ tu, Pilucca?

Pilucca. Dico che ’l nimico vi dará presto nell’ugna, e l’amica nella brachetta.

Giordano. Tu te ne fai beffe, poltrone, ah?

Pilucca. Io ti dico da vero io; ella sta pur a vostra posta!

Giordano. Tanto stesse a tua posta il pane.

Pilucca. È pur in vostra potestá.

Giordano. Si, del corpo.

Pilucca. E che vorreste altro da lei?

Giordano. L’animo.

Pilucca. O diavolo! Che gli vogliate cavare il fiato? Voletela voi morta?

Giordano. Morta l’arei, quando n’avessi solamente il corpo.

Pilucca. Eccoci in sull’amor platonico. Purché ve ne possiate cavar le vostre voglie, che andate voi piú cercando?

Giordano. Tu parli ora da bestia, come tu sei.

Pilucca. Avetela voi tentata?

Giordano. Per mille vie. Ho provato di lusingarla, di pregarla, di prometterle, di donarle; ho pianto, mi sono adirato, l’ho minacciata. Che non ho fatto? Fino al Tarquinio, col pugnale in mano ! In somma è dispostissima di morire prima che consentirmi.

Pilucca. Adagio: col tempo si maturano le nespole. O padrone, vedete, vedete messer Gisippo, che passa oltre per via Giulia?

Giordano. Qual è desso?

Pilucca. Delli due quello a man dritta. Lassate pigliar l’arme ancora a me, poiché Gisippo è con un altro.

Giordano. Sia pur con cento, ché l’ira mia non può sfogarsi solamente con lui.

Pilucca. Io vi son dunque d’avanzo. Orsú, non vi darò impaccio. Datevi dentro, ch’io andrò di qua per attraversarli innanzi.