Pagina:Caro, Annibale – Opere italiane, Vol. I, 1912 – BEIC 1781382.djvu/254

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Demetrio. «Ahi, Tindaro! voi vi maritate: or non séte voi mio marito? Se non mi séte ancor diletto e non volete essermi per amore, vi séte pur di fede e mi dovete esser per obligo. Non sono io quella che, per esser vostra moglie, non mi sono curata di abbandonar la mia madre, né di andar dispersa dalla mia patria, né di divenir favola del mondo? Ricordatevi che per voi sono state tante tempeste, per voi sono venuta in preda de’ corsari, per voi si può dire che io sia morta, per voi son venduta, per voi carcerata, per voi battuta; e per non venir donna d’altro uomo, come voi séte fatto altr’uomo di altra donna, in tante e si dure fortune sono stata sempre d’animo constante, e di corpo sono ancor vergine. E voi, non forzato, non venduto, non battuto, a vostro diletto vi rimaritate?»...

Gisippo. E Giuletta scrive queste cose?

Demetrio. «Il dolor ch’io ne sento è tale, che ne do vero tosto morire; ma solo desidero di non morir serva né vituperata. Per l’una di queste cose io disegno di condurmi col testimonio della mia verginitá a mostrare agli miei che io per legitimo amore e non per incontinenza ho consentito a venir con voi; per l’altro io vi prego, se piú di momento alcuno sono i miei preghi presso di voi, che procuriate per me, poiché non posso morir donna vostra, che io non muoia almeno schiava di altri. O ricuperate con la giustizia, o impetrate dalla vostra sposa la mia libertá; ché, per esser ella cosi gentile come intendo, ve la doverá facilmente concedere; e, bisognando, promettete il prezzo ch’io sono stata comprata, ch’io prometto a voi di restituirlo»...

Gisippo. Oh, che dolore è questo!

Demetrio. «E quando questo non vogliate fare, mi basterá solamente di morire. Il che desidero cosi per finire la mia miseria, come per non impedir la vostra ventura. E, per segno che io non voglio pregiudicare alla libertá vostra, vi rimando l’anello del nostro maritaggio; né per questo si scemerá punto dell’amor ch’io vi porto. State sano e godete delle nuove nozze. Di casa della vostra moglie. Giuletta sfortunata».

Gisippo. Vien’ tu dai morti, Satiro, con queste cose, o pur qualcuno ci vuol far qualche beffa?