Pagina:Caro, Annibale – Opere italiane, Vol. I, 1912 – BEIC 1781382.djvu/260

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Demetrio. Di chi séte voi figliuolo?

Giordano. Che? Mi volete tórre anche mio padre? Procuratore. Che favola è questa? State a veder che costoro si faranno parenti. Dove è questo messer Gisippo?

Demetrio. In casa.

Procuratore. Di grazia, fatelo venir fin qui.

SCENA V

Procuratore, Gisippo, Giordano, Straccioni,

Pilucca, Marabeo.

Procuratore. Cavaliero, se voi fate di questi scherzi a tempo di questo principe, vi sará tagliato quanto capo avete. Troppo grande ardire è questo vostro, di far privato carcere questa cittá, di sforzar le donne, di amazzar gli uomini e di aver si poco rispetto a un principe come questo.

Giordano. Io cerco giustamente di vendicarmi; e merito piú tosto compassione di non aver potuto, che castigo di averlo tentato.

Procuratore. Voi pensate una cosa, e sará forse un’altra.

Giordano. Ecco qua quel traditor di Gisippo.

Procuratore. Cavalier, non vi movete, ché voglio intender io questo caso. Messer Gisippo, venite qua.

Giordano. Gisippo, Gisippo!

Gisippo. Giordan, Giordano!

Procuratore. Cheti e senza còlerá: rispondete solamente a quel che vi domando. Cavaliero, non séte voi romano?

Giordano. Sono nato a Roma.

Procuratore. Vostro padre è vivo?

Giordano. Signor no.

Procuratore. E ’l vostro?

Gisippo. Manco.

Procuratore. Donde fu il vostro?

Giordano. Genovese.