Pagina:Caro, Annibale – Opere italiane, Vol. I, 1912 – BEIC 1781382.djvu/263

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non ci conoscendo per parenti ed essendo voi tenuto per morto, era lecito all’uno e all’altra. Ora voi séte vivo, e il parentato non è seguito. In che séte offeso da lei e da me?

Giordano. Dubito d’adulterio.

Procuratore. Ah, cavaliero! Da madonna Argentina?

Gisippo. Questo non si troverá mai. Di ciò doverei sospettare io, avendo voi avuta la mia in poter vostro.

Giordano. Tindaro, voi vi potete vantar di avere una donna di pudicizia e di costanza inespugnabile, e nelle mie mani non è stata violata.

Gisippo. Io lo credo a voi, e voi dovete creder a me, poiché vi son fratello, che la vostra sia per mio conto incorrottissima.

Giordano. Vi voglio credere; e per vostro detto e per riscontro della vita passata terrò lei per castissima, e accetto voi per cordialissimo cugino.

Procuratore. Vedete di quanta gran confusione quanta concordia è nata. Per Dio, che questa mi pare una comedia! Oh, ecco qui li straccioni, che si sono rivestiti!

Giovanni. Straccioni semo noi stati, ma ora semo fuor di stracci.

Battista. Semo ricchi.

Giovanni. Semo contenti.

Battista. Non saremo piú pazzi.

Giovanni. Avemo guadagnati oggi trecentomila ducati.

Battista. E ricuperata una figliuola.

Gisippo. Ed acquistato un figliuolo, che vi sono io.

Giordano. E ritrovata una nipote, che vi è mia moglie.

Giovanni. Qual nipote? Ora che siamo ricchi, i parenti fioccano.

Battista. Nipote da canto dei nostri danari.

Procuratore. Nipote da canto del vostro sangue, figliuola di messer Paolo, vostro fratello.

Giovanni. Di messer Paolo, nostro fratello?

Battista. Di messer Paolo?

Procuratore. Oh ! eccola che vien di qua, ed ecco messer